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L’arpa, dagli albori alla fortuna nel Settecento

L’arpa è da sempre percepita come strumento capace di scaturire, attraverso il suo suono, un momento di congiunzione, di unione tra terra e cielo.

Iniziamo questo viaggio alla scoperta dell’arpa, dalle origini all’akmḗ della sua fortuna, grazie al supporto del libro di Laure Barthel, Au coeur de la arpe au XVIIIème siècle. La parola “Harpa” o “arpa” viene dall’antico sassone e significa “pizzicare”. Questo strumento ha origini antichissime e dopo il Medioevo scomparve per qualche secolo, poiché non adatta al linguaggio rinascimentale, per ricomparire nel Settecento grazie alle innovazioni tecniche sulla scorta della temperie illuminista. Hockbrucker, Cousineau, Naderman e Krumpholtz furono i maggiori esperti: non si limitarono a creare modelli standardizzati ma migliorarono lo strumento fino a renderlo più efficace a livello espressivo. Tutti questi liutai erano di base a Parigi che, durante la Golden Age dell’arpa, divenne la sua capitale più effervescente. La particolarità di questo affascinante e romantico strumento è che si diffuse fin dagli albori in territori diversi in giro per il pianeta, assumendo nomi di volta, in volta plasmati dalla cultura: “kerar” e “baganna” in Etiopia, “boulou” in Senegal, “kin” in India, “tcheng” in Persia, “tcherk” in Turchia.

JEAN HENRI NADERMAN, 1776, Paris, arpa appartenuta a Maria Antonietta, photo: Jean-Marc Anglès, collezione del Museo Cité de la Musique, Philarmonie de Paris, sito https://philharmoniedeparis.fr/fr, Maria Antonietta NADERMAN / Maître Luthier, Ordinaire de Madame / La Dauphine / Rue d'argenteuil, butte / Saint Roch, à Paris / ce 8bre 1776".

JEAN HENRI NADERMAN, 1776, Paris, arpa appartenuta a Maria Antonietta, photo: Jean-Marc Anglès, collezione del Museo Cité de la Musique, Philarmonie de Paris, sito https://philharmoniedeparis.fr/fr, Maria Antonietta NADERMAN / Maître Luthier, Ordinaire de Madame / La Dauphine / Rue d’argenteuil, butte / Saint Roch, à Paris / ce 8bre 1776″.

LE ORIGINI DELL’ARPA
1905 Print Amelia Bauerle Art Sea Song Mermaid Merman Harp Musical Instrument – Original Halftone Print

1905 Print Amelia Bauerle, Art Sea Song Mermaid Harp Musical Instrument – Original Halftone Print

Particolare è il mito occidentale che racconta la sua nascita: Apollo, ammaliato dal suono dello schiocco dell’arco da frecce della sorella Diana, aggiunse ulteriori corde trasversali per amplificarlo.

Vedi anche: La saliera che tutti desiderano? Il capolavoro di Benvenuto Cellini.

Nel 15.000 a.C. sembrerebbe (da pitture rupestri rinvenute nella grotta di Trois Frères nel sud della Francia) che fosse utilizzata dai cacciatori preistorici nelle danze e nei riti propiziatori; l’arco era probabilmente fatto di legno e tendini animali, la bocca dei suonatori veniva usata come cassa di risonanza. Nel III millennio a.C. in Mesopotamia, nell’attuale territorio dell’Iraq, la troviamo raffigurata su placche votive, dotata di 3 o 7 corde. In Egitto, invece, era alta due metri e dotata di 14 corde. Proprio qui, intorno al 1500 a.C., viene inventata l’arpa angolare, distinta in due parti: una cassa di risonanza e un pezzo di legno solido con corde fatte di budello di cammello, di un numero variante dai 13 alle 23. Nella tomba del faraone egiziano Ramses III (1198-1166 a.C.) infatti sono stati trovati diversi dipinti di arpe arcuate. La più antica arpa angolare è esposta al Louvre; questa tipologia doveva essere suonata con una o entrambe le mani ed era pizzicata da seduti o sorretta verticalmente in alcune occasioni. Nell’VIII sec. a.C. i Siro-Fenici aggiungono una colonna per consolidarla, chiudendo il triangolo. Questa tipologia “a telaio” viene chiamata anche arpa-lira.

L’ARPA NELL’ANTICA ROMA

I romani amavano suonare la lira, antenato portatile dell’arpa, simile alla cetra. Quest’ultima era come una lira più grande, dotata di cinque corde che venivano pizzicate con un plettro in legno e regolate poi con dei cunei appuntiti. Nell’antica Grecia e durante l’Impero romano l’arpa risulta caratterizzata da 11-13 corde, il collo peraltro era divenuto ricurvo e si riuscivano a coprire circa due ottave. I Pitagorici del V secolo crearono una corrispondenza matematica tra note e numeri, secondo tale principio lharmonia in musica è frutto dell’amore tra il pari e il dispari. A dimostrazione, utilizzavano una particolare tecnica di calcolo: disponevano dei sassolini sulla sabbia (psêphoi in greco, calculi in latino) in modo tale da associare il dispari al mascolineo e il pari al femmineo.
Il suono delle arpe gotiche si trasforma: era meno gradevole poiché le colonne a sostegno delle corde erano più esili e dritte. Ciò nonostante la misura modica dello strumentodurante il Medioevo, permise ai musicisti di suonarla sulle ginocchia o addirittura di appenderla sulle spalle per danzare. Divenne così lo strumento musicale prediletto dai poeti, ma anche dai nobili e dalle donne. 

L’ARPA IN IRLANDA E NEL MEDIOEVO

È dal XIII secolo d. C. che lIrlanda la inserisce nei suoi emblemi. L’arpa di Brian Boru, conservata nella Biblioteca del Trinity College di Dublino, è la più antica esposta, datata tra la fine del XIV e l’inizio del XV; vi si notano ben 30 corde in bronzo. Lo strumento è concepito appositamente in maniera che le corde vadano pizzicate con i polpastrelli o con le unghie ma, nel periodo del Medioevo, l’arpa non poteva essere apprezzata a pieno, era anzi criticata per la sua scala diatonica… bisogna immaginare fosse limitata musicalmente, come un pianoforte moderno privato dei tasti neri, era infatti surclassata dal flauto e dalla chitarra.

COME AMPLIARE LA SCALA CROMATICA DELL’ARPA?

Arpa tripla gallese, nata in Italia nel XVI secolo, Arpa tripla da Tim Hampson, foto di Gerold Zauner, CC BY-SA 3.0

Arpa tripla gallese, nata in Italia nel XVI secolo, Arpa tripla da Tim Hampson, foto di Gerold Zauner, CC BY-SA 3.0

Nel Cinquecento dei liutai italiani inseriscono una doppia stringa di corde in modo tale da poter eseguire l’intera scala cromatica. Ogni ottava impegnava 13 corde: 8 note diatoniche erano disposte su una fila, mentre le 5 cromatiche sull’altra. Nel 1581 il compositore Galilei descrive una tipologia di arpa dotata di 58 corde. Finalmente, Juan Bermudo ha l’intuizione di disporre le corde mancanti, insieme alle altre, su un’unica fila ma le distingue grazie al colore (solitamente rosso, bianco e blu). Esiste anche la cosiddetta arpa tripla, caratterizzata da 78 corde, un esemplare di questo genere, risalente al 1736, è parte della collezione del Victoria and Albert di Londra.
Era necessario trovare una soluzione più efficace per rendere le sfumature dei semitoni. Nel 1660 dei fabbricanti tirolesi aggiungono dei gancetti in metallo, delle specie di levette sotto i perni di accordatura che potevano accorciare la lunghezza delle corde di 1/17: questo nuovo accorgimento provocava tuttavia la facile rottura delle stesse. Bisognava continuare a cercare una soluzione per modulare in maniera ricca il suono.

LA SVOLTA A FINE SEICENTO: I PEDALI ALLA BASE DELL’ARPA

Curioso è che, se nel 1677 appare per la prima volta la parola “arpista”, nel 1697 un’invenzione contribuisce a cambiare per sempre il futuro del dispositivo. Il liutaio bavarese Georg Hochbrucker ebbe l’intuizione di usare la base dell’arpa per modificare il suono delle corde, inserendovi 5 pedali. Ciascuno di questi era in grado di alzare di un semitono una nota (per tutte le ottave), senza dover staccare le mani dallo strumento. Si potevano suonare 6 scale maggiori e tre minori. Queste arpe erano fabbricate in legno di conifera; per le corde venivano usate fibre vegetali o animali (budello, crine di cavallo, tendini), escluse le corde delle arpe scozzesi, in metallo (oro, argento, bronzo ecc.). L’altezza variava invece da 40 cm a 2 metri.

LA MANCATA MENZIONE DELL’ARPA NEL DIZIONARIO MUSICALE

La palette musicale di inizio Settecento era ancora piuttosto limitata, avendo a disposizione solo 9 chiavi musicali. Non è un caso, quindi, che l’arpa non venga neanche menzionata nel primo dizionario musicale, opera di Sébastien de Brossard, pubblicato a Parigi nel 1703. Nel 1720 sempre Georg Hochbrucker modifica la sua invenzione aggiungendo due pedali (E e A): arriviamo quindi a quota 7 pedali e alla prima arpa a movimento semplice. Ogni corda può produrre due toni, ampliando il range  a 13 chiavi, 8 maggiori e 5 minori. Nel 1728 Simon Hochbrucker invia quesa tipologia in dono all’Imperatore Carlo VI, a Vienna. Nel 1749 Goepffert, virtuoso tedesco, presenta al pubblico parigino l’arpa a movimento semplice suonando il giorno della Pentecoste in occasione del Concert Spirituel (il programma dei primi concerti pubblici cittadini organizzati nei giorni di festa). In questo momento circolava ancora un’assurda leggenda: suonare l’arpa era pericoloso e nocivo per le donne incinta!

DALL’INDIFFERENZA ALL’AMORE PER LO STRUMENTO: L’ENCYCLOPEDIE
JEAN HENRI NADERMAN, 1776, Paris, arpa appartenuta a Maria Antonietta, photo: Jean-Marc Anglès, collezione del Museo Cité de la Musique, Philarmonie de Paris, sito https://philharmoniedeparis.fr/fr

JEAN HENRI NADERMAN, 1776, Paris, arpa appartenuta a Maria Antonietta, photo: Jean-Marc Anglès, collezione del Museo Cité de la Musique, Philarmonie de Paris, sito https://philharmoniedeparis.fr/fr

Nel 1767 si registra un cambiamento epocale, l’arpa viene compresa nella Encyclopédie di Diderot e d’Alembert. Poco dopo, Naderman cambierà la forma dei ganci per le corde, passando dalla foggia “a bandiera” a quella “a zoccolo”, ciò farà la sua fortuna: tutte le arpe verranno prodotte in tal maniera fino al 1835. Persino la regina Maria Antonietta – arpista squisita, la migliore insieme a Madame de Genlis – userà un’arpa contraddistinta da questa caratteristica. Sono molti i nomi di liutai che circolano a Parigi, tra questi anche Sébastien Renault e François Chatelain di cui Olivier Camus di Proantic possiede un esemplare. Se ne conservano molti proprio perché nel 1832 Victor Hugo propose di promuovere una legge per la protezione di questo – visto come Monument Historique – e altri beni culturali. Il peso dell’arpa variava dai 10 ai 15 chili, la metà del peso di quelle attuali e lo stesso delle moderne celtiche. Le corde a quell’epoca erano soprattutto fatte con budello di pecora. Le migliori? Provenivano dall’Italia, soprattutto da Roma e Napoli.

PARIGI CAPITALE DELL’ARPA
Beaux-Arts de Carcassonne - Julie de Puymaurin MARCASSUS (1775) - Jacques Gamelin - Joconde04400000231

Beaux-Arts de Carcassonne – Julie de Puymaurin MARCASSUS (1775) – Jacques Gamelin – Joconde

Altri abili produttori erano Holtzman – di cui si conserva uno dei migliori esemplari a Bruxelles -, Zimmerman e Saunier – di cui si può ammirare un esemplare raffigurato nel Ritratto di Miss de Puymaurin di Jacques Gamelin.
È evidente che Parigi divenne all’epoca indiscussa capitale dell’arpa in Europa, proprio qui continuavano a susseguirsi le principali innovazioni collegate: i Cousineau (padre e figli) mettono in circolazione nel 1781 le prime arpe a movimento semplice con “béquilles” (grucce), perni mobili per le corde che sostituiscono i ganci/uncini che tenevano le corde nelle arpe realizzate da Naderman. Non finisce qui… nel 1782 viene realizzata la prima vera arpa a pedali a doppio movimento (che si affermerà poi solo nel 1811 con la messa a punto di Erard). Quest’arpa aveva 14 pedali per differenziare i bemolle rispetto ai diesis quindi ogni corda poteva eseguire 3 note invece delle 2 precedenti, coprendo 27 chiavi musicali rispetto alle 13 precedenti, 9 armoniche al posto di 2. Questi esemplari non ebbero in quel momento fortuna e non se ne conservano modelli anche se potrebbero riapparire sul mercato.

GLI OTTURATORI PER FAR RIECHEGGIARE IL SUONO

Naderman e Krumpholtz, pedali fotografia da da https-//musees-nationaux-malmaison.fr

Non spariva una forte perplessità: il suono non era limpido, anzi risultava alterato ogni qualvolta si passava da una chiave all’altra, bisognava trovare in fretta un modo per controllare la vibrazione delle corde. Naderman, grazie al disegno di Krumpholtz, concepisce un meccanismo a sordina. Aggiunge due bottoni a sinistra delle corde più basse, più un terzo in parallelo al bordo da cui partono le 38 corde. I bottoni permettevano di smorzare le corde premendo un apposito pedale (l’ottavo). Qual era l’inconveniente? Il pedale extra era troppo lontano e difficile da raggiungere dal tacco del musicista. Nel 1786 Naderman e Krumpholtz, di nuovo in coppia alleata, inseriscono sul retro della cassa di risonanza 5 valve otturatrici in legno, la cui apertura/chiusura poteva essere monitorata tramite un ottavo pedale, posizionato proprio al di sotto dell’ultimo otturatore. Eppure, le cronache del tempo ironizzano su come questa soluzione non funzionava poiché gli abiti delle dame erano talmente voluminosi da ostruire le aperture mentre suonavano.
Queste due invenzioni di Naderman e Krumpholtz – nonostante imperfette  – permettevano di variare gli effetti sonori. Quando i 5 bocchettoni della cassa di risonanza venivano aperti, il suono si prolungava legando armonicamente le note nelle scale e negli arpeggi .

L’ARPA A CHEVILLES TOURNANTES
Harpe de l'Imperatrice Joséphine, Cousineau Père et fils, Paris, c. 1805, Château de Malmaison, Rueil Malmaison, crediti Photos R.M.N. - Gérard Blot da https-//musees-nationaux-malmaison.fr

Harpe de l’Imperatrice Joséphine, Cousineau Père et fils, Paris, c. 1805, Château de Malmaison, Rueil Malmaison, crediti Photos R.M.N. – Gérard Blot da https-//musees-nationaux-malmaison.fr

La famiglia dei Cousineau, liutai ufficiali di Maria Antonietta, nel 1783 compie un ulteriore passo avanti: fa girare le corde intorno a un perno, invece di accorciarle, per raggiungere il semitono. Questo nuovo meccanismo si chiama “à chevilles tournantes” (perni rotanti). Sono predisposti due set di perni per corda: uno si manipola con una chiave mobile, l’altro si muove automaticamente quando il pedale corrispondente è attivato premendo con il piede. La corda era tirata quindi facendo girare i piroli (chiamati anche caviglie). Qual era stavolta il problema? Il suono risultava instabile a causa del continuo cambio di tensione eseguito sulle corde. Si conservano, infatti, solo 4 modelli di questa tipologia, di cui 2 in Francia: uno è alla Cité de la Musique; l’altro, appartenuto a Josephine, prima moglie di Napoleone, è conservato alla Malmaison.

L’INVENZIONE DI ERARD APRE LE PORTE ALL’ARPA MODERNA

Fu finalmente Sébastien Erard a risolvere ogni questione tecnica. Come? Inventando un sistema in grado di aumentare di un semitono ciascuna corda senza romperla o portarla fuori asse rispetto alle corde limitrofe. Nel 1786 comparse la prima arpa dotata di “fourchettes” ossia a dischi biforcati. Sono dischetti composti da due perni, ancora in uso. Erard depositò il brevetto a Londra solo nel 1794. Durante la Rivoluzione Francese dovette infatti fuggire e cercare rifugio altrove a causa delle sue idee realiste-monarchiche. Insieme alla sua testa sulla ghigliottina sarebbe forse finita, in stasi per qualche decennio, l’arpa moderna?

-Giorgia Basili

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Giorgia Basili
Giorgia Basili (Roma, 1992) è laureata in Scienze dei Beni Culturali con una tesi sulla Satira della Pittura di Salvator Rosa, che si snoda su un triplice interesse: letterario, artistico e iconologico. Si è specializzata in Storia dell'Arte alla Sapienza con una tesi di Critica d'arte sul cinema di Pier Paolo Pasolini, letto attraverso la lente warburghiana della Pathosformel. Ha seguito, grazie a una borsa di studio, il semester course di Art Business al Sotheby's Institute di Londra, avendo avuto così modo di conoscere il profondo dinamismo della scena artistica internazionale della città. Collabora da anni con diverse riviste di settore: tra queste Artribune, XIBT Contemporary, Espoarte, Insideart e ArtApp. Predilige tematiche quali la cultura e l’arte contemporanea nelle sue molteplici sfaccettature e derive mediali - arte urbana e teatro, performance e videoarte -, l'antiquariato e le arti applicate. Da luglio 2021 a giugno 2022 ha fatto parte dello staff di redazione di Artribune, lavorando nel reparto News. La sua prima esperienza giornalistica risale alla sentita adesione alle attività della giovane redazione DailyStorm, nata nel cuore dell'Università La Sapienza. Si è occupata della curatela di alcune esposizioni. I suoi ultimi progetti curatoriali sono "Notturno" - personale dell'artista Marco Ercoli, presso l'Art Hotel Villa Fiorella di Massa Lubrense -, "Confidence in the uncertain" - personale dell'artista toscana Samantha Passaniti presso il Contemporary Art Space Curva Pura di Roma - ed "Epimeteo" - mostra di Marco Ercoli presso la galleria 28 Piazza di Pietra. Ha lavorato anche come responsabile stampa, collaborando con la Galleria Alessandra Bonomo e con altre realtà artistiche. Elabora inoltre contenuti per progetti e gallerie online e ha seguito con entusiasmo nel 2019-2020 il programma didattico del Museo Napoleonico di Roma con l'ideazione di pacchetti didattici per le scuole di ogni ordine e grado, attività ludico-digitali di avvicinamento al Museo e il ciclo di video-narrazioni "Vis-a-vis con le Bonaparte. Profili di donne da riscoprire", dedicato a 4 figure di donne poco conosciute ma sorprendenti: Matilde Bonaparte, Charlotte Bonaparte, la Principessa Eugenia e Ortensia de Beauharnais. Sempre nell'ambito della didattica dell'arte ha collaborato con Fondazione smART per un'intera edizione di "Artisti in erba" e con il Museo dei Bambini di Roma, EXPLORA.

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