Vi proponiamo un breve viaggio alla scoperta della Glittica, cos’è, dove nasce, quali sono i suoi capolavori? Perché è importante studiarla e perché riscosse così ampio successo? Mai sentito parlare della Tazza Farnese, il più grande cameo dell’antichità pervenuto fino a noi.
Nella nostra ricerca, coadiuvati da libro Multum in parvo. Camei, grandi meraviglie in piccole gemme, abbiamo seguito il suo percorso, dalle origini all’attualità scoprendo che molti artisti contemporanei come Cindy Sherman e Catherine Opie, tramite LizWorks, o brand come Breguet, Dolce & Gabbana, Ferragamo si avvalgono della perizia degli intagliatori di Torre del Greco e dell’eccellenza di Cameo Italiano per creare delle opere in miniatura. Il tema della Glittica risulta così perfetto per rappresentare la volontà di Artiquariato il magazine d’arte online di mettere in luce il valore dell’antiquariato come anche dell’arte contemporanea quale rappresentante dello Zeitgeist, lo “spirito del Tempo”.
COS’È LA GLITTICA
Per Glittica si intende l’arte dell’intaglio e dell’incisione di gemme o pietre dure. È eseguita soprattutto su cristallo di rocca, ametista, agata, diaspro, calcedonio, su conchiglie come la Cypraecassis rufa ossia la corniola (dalla Polinesia orientale fino all’Africa orientale) o la Cassis Madascarensis detta anche Sardonica (dai Caraibi e dalle Bahamas). Si opera con “punte o bulino, a mano libera o rotanti; le punte, metalliche o di diamante, possono essere adoperate insieme con polvere di smeriglio” (Treccani).
LE ORIGINI DI UN’ARTE DALLA PARTICOLARE SAPIENZA TECNICA
L’origine di quest’arte ha radici lontane nel tempo, sono stati infatti rinvenute gemme intagliate con fregi geometrici a reticolato (probabilmente appartenenti ad alti dignitari) nelle società stanziali mesopotamiche (IV-III millennio a.C.). Si diffonde più tardi in Asia Minore e in Egitto.
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Del periodo sumerico di Uruk (IV-I millennio a.C.) si trovano dei peculiari sigilli a cilindro, incisi con divinità o componenti regali, che venivano utilizzati come stampi per imprimere le iconografie sull’argilla, proprio per questo con il diffondersi del papiro e della carta scomparvero. Con le dinastie babilonesi e assire si registra una vasta varietà di decorazioni (caratteri cuneiformi, stilizzazioni di regnanti assisi ed eroi in lotta, scene di culto e mitologia) e di forme. Dall’Egitto si affermerà presto la forma “a scarabeo”, di moda poi in tutto il Mediterraneo, per la sua adattabilità nell’incastro dell’anello da sigillo.
ALLA CORTE MACEDONE DI ALESSANDRO MAGNO
Arriviamo così alla vera fortuna dell’intaglio: Alessandro Magno, dalla Macedonia, conquista molte località asiatiche permettendo il facile reperimento delle pietre. In questo momento iniziano a essere scolpite, a rilievo, gemme più grandi che apriranno la strada ai veri e propri camei. Si inizia a usare soprattutto la sardonica indiana, sfruttando i due strati cromatici: il disegno emerge grazie alla chiarezza della superficie che si staglia su uno sfondo più scuro.
LA TAZZA FARNESE
Tra i tesori della sapiente tecnica dell’intaglio spicca un capolavoro. È un phiale, coppa per libagioni rituali, che ha origini antichissime essendo un prezioso lacerto dell’arte ellenistica (anche se alcuni critici tardano quest’unicum all’età imperiale, sotto Augusto). La Tazza Farnese venne realizzata nella città di Alessandra d’Egitto.
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Acquistata da Federico II nel 1239, ricompare alla corte di Samarcanda o di Herat nel 1430. Nel 1471 giunge nelle mani di Lorenzo il Magnifico che la compra a Roma, arriva ai Farnese in eredità da Margherita d’Austria poi ai Borbone, oggi è conservata al Museo Nazionale Archeologico di Napoli. È lavorata su entrambi i lati. Sul lato esterno tutto lo spazio è preso d’assalto da una grande testa di Gorgone. Sul lato interno le otto figure sono intagliate su uno strato d’avorio che spicca sopra il fondo in agata sardonica di colore nero-giallastro.
LA RAPPRESENTAZIONE DELLA TAZZA FARNESE
Rappresenta una complessa allegoria, molti hanno provato ad avanzare ipotesi sul suo reale significato. La prima interpretazione che è stata accolta come possibile è quella di Ennio Quirino Visconti, prefetto delle Antichità dello Stato Pontificio, risalente al 1790. La gemma vuole omaggiare la fertilità del Nilo, personificato dal possente uomo d’età avanzata seduto sull’estrema sinistra e recante in mano la cornucopia. Dinnanzi Horus-Trittolemo è colto mentre solleva il timone di un aratro, di cui è inventore, stringendo nel pugno sinistro un coltello. Ai piedi del vecchio si distende di profilo un’elegante sfinge (senza ali, quindi non alla Foggia greca), seduta sul suo dorso vi è Eutheneia con un fascio di spighe in mano, considerata quale personificazione della piena del Nilo, balsamo fertilizzante per il suolo.
ALTRE IPOTESI DI LETTURA ICONOGRAFICA
Le due figure in volo potrebbero rappresentare i venti Etesii che favoriscono le inondazioni, mentre le ultime due, in basso a destra, sono le Horai o stagioni (la figura con la coppa è la stagione delle piene, l’altra recante la cornucopia il periodo dei raccolti). Ma le suggestioni non finiscono qui… altri propongono differenti interpretazioni. È stato ad esempio suggerito che le figure presenti possano incarnare le divinità del pantheon egizio oppure personaggi storici di riguardo.
La donna seduta sulla groppa della sfinge potrebbe alludere a Cleopatra III e l’uomo subito sopra di lei, in predi, al figlio Tolomeo Alexandros. Altri ancora hanno fatto il nome della più famosa Cleopatra, futura moglie di Marco Antonio e fulminante potenza del nostro immaginario legato al passato remoto della storia.
-Giorgia Basili
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