Articolo redatto da Giorgia Basili
Abbiamo affrontato, nell’articolo sui gioielli sentimentali, come in età Neoclassica, nella cerchia dei familiari di Napoleone (ma anche tra i suoi sostenitori, generali e militari) il gioiello abbia assunto una funzione più romantica, legata ai sentimenti, agli effluvi amorosi, al risveglio dei ricordi più cari. Ora vi parleremo dei gioielli del Museo Napoleonico
I GIOIELLI SENTIMENTALI
Si iniziano a diffondere più tipologie di monile che poi verranno riprese con slancio in epoca Vittoriana come il gioiello acrostico e i gioielli antichi reliquiario. Insieme a queste due categorie, la corte napoleonica inizia a rivalutare glittica e micromosaico come arti per rendere le parure ancora più stupefacenti. Joséphine, prima imperatrice, diventa una vera e propria icona della moda e, con la sua incoronazione, introduce l’uso del diadema nei momenti di rappresentanza…tuttavia, non è la sola a rinnovare il gusto dei nobili – e per riflesso, in natura meno elaborata ma comunque estrosa, di tutto il popolo -. Altre capifila di questo cambiamento saranno: Maria Luigia, seconda moglie del Primo Console e Duchessa di Parma; Paolina Bonaparte, “la più bella dell’Impero”; Carolina Bonaparte, altra sorella di Napoleone, sposa di Gioacchino Murat, regina di Napoli e fervente amante delle arti (anche minori come la porcellana) che sarà la prima a indossare un orologio da polso (Breguet ha infatti creato una linea chiamata “Reine de Naples”).
Dopo il periodo rigoroso della rivoluzione e la repressione giacobina, la corte napoleonica torna a compiacersi dei fasti dei due secoli precedenti: le pietre preziose e i diamanti avevano trovato approvazione in Francia, soprattutto nell’epoca del cardinal Mazarino, nel XVII secolo. I diamanti vengono infatti introdotti per volontà di Napoleone per ornare i gioielli dell’incoronazione. Eppure, insieme alle gemme più pregiate, compaiono materiali prima del tutto trascurati in gioielleria.
IL BRACCIALE DELLA MADRE DI NAPOLEONE, LETIZIA
Guardiamo ora insieme i gioielli conservati nel Museo Napoleonico, tra cui spiccano alcuni interessanti gioielli sentimentali. Si ricorda che questa tipologia di gioiello si diffuse come pegno d’amore e d’amicizia. Prendendo ad esempio il braccialetto acrostico (manifattura francese 1804-1814) di proprietà della madre di Napoleone, Letizia Ramolino, vediamo come le pietre siano state disposte a formare il nome in latino della donna. L’intenzione era infatti omaggiare la persona cara o amata. Altre volte le pietre erano ordinate a comporre date particolari o anche frasi segrete, comprensibili solo ai diretti interessati. Circolavano anche anelli decorati con iscrizioni o fiori – l’usanza era collegata alla florigrafia, il linguaggio simbolico di queste piante. Quando due amici dovevano separarsi per lungo tempo si era diffuso un particolare costume: si divideva un anello in modo tale che un giorno, incontrandosi nuovamente, le parti combacianti potessero essere una prova di identità e riconoscimento reciproco. Alcune donne, inoltre, esibivano pendenti (attaccati a catene girocollo) su cui, oltre alle iniziali dell’amato, era spesso incisa la frase “inséparable jusqu’à la mort“.
I GIOIELLI DELLA FAMIGLIA BONAPARTE MURAT
I gioielli riconducibili alla famiglia Murat si dividono tra una collezione privata calabrese e il Museo Napoleonico e si riferiscono a un arco temporale di vent’anni. Sono utili per testimoniare le tipologie di gioiello diffuse a cavallo tra i due secoli Sette e Ottocento, come la parure che inizia ad affermarsi nel XVIII secolo. La parure è secondo Treccani: un “insieme di due o più oggetti di ornamento, spec. gioielli (anello, bracciale, collana, orecchini, ecc.), aventi caratteristiche comuni (per es., la materia, il disegno, lo stile)”. La parure neoclassica risponde a un gusto specifico legato all’abbigliamento femminile che tende a enfatizzare i tessuti leggeri e rettilinei del mondo greco-romano, le forme sciolte e lo scollo sul seno…proprio per questo deve essere accompagnato da uno sfarzoso corredo di gioielli. I capelli venivano raccolti in riccioli e fermati da un nastro o da un diadema insieme anche a un pettinino: l’acconciatura, che era stata lanciata da Joséphine durante l’incoronazione, divenne talmente di moda da obbligare ogni dama a dotarsi di una tiara da associare all’abito e come complemento della parure.
Un gioiello appartenuto a Carolina che usa gemme sfaccettate è la parure in ametista, pietra divenuta molto popolare in seguito allo sfruttamento dei giacimenti brasiliani. Le gemme tagliate in forma ovale sono legate tra di loro da due sottili file di perle, le stesse che, girando intorno alle ametiste come dei petali, ne formano la cornice. Le pietre pendenti a gocce sono montate a giorno. Inoltre, tra il primo e il secondo decennio dell’Ottocento tornano in auge i colliers e le parure in micromosaico, ne è un fine esempio la demi-parure sempre appartenuta a Carolina e composta da collana, orecchini e spilla eseguita da Antonio Aguatti, mosaicista di talento attivo a Roma alla metà del XIX secolo. Parleremo di questo completo di gioielli in un prossimo articolo dedicato al micromosaico.
LA SPILLA DI CAROLINA
La spilla di Carolina è invece uno degli oggetti più curiosi del Napoleonico, il tondo in porcellana smaltata bianca, riporta un ritratto – opera di J. B. Augustin – fedele alla dama, di una freschezza disarmante: Carolina ha i capelli raccolti, un diadema di perle le orna la fronte, insieme a dei boccioli schiusi sulla sommità del capo, la mano destra trattiene sul petto un velo color latte che le si avvolge in una voluta attorno, incorniciandole la forma sferica del volto. La veste bianca le copre il seno e un nastro lucente dello stesso colore le cinge la vita, le braccia e il collo sono adornate a un giro di perle. Allo stesso Augustin fu infatti commissionata una seconda miniatura, esposta al Salon del 1808, in cui la giovane donna è seduta su una meridiana, in posizione semi-sdraiata: nonostante non si conosca l’attuale collocazione di questa miniatura, troviamo la medesima composizione sul vaso in porcellana, realizzato dalla manifattura Dihl et Guérhard, conservato sempre al Museo Napoleonico. Tornando alla spilla, intorno all’effigie troviamo disposti a raggiera e montati a giorno dei castoni che ospitano pietre preziose alternate a perle, “nelle pietre i castoni sono baccellati nella parte superiore, le perle invece sono impernate (fissate) con perno ribattuto“. Le iniziali dei nomi delle pietre, in lingua francese, compongono la parola SOUVENIR: S saphir, O opal, U (? La pietra giallo-ocra potrebbe corrispondere alla Uigite), V vermeil granat, E emeraude, N calcedonio-nicolo, I iris, R ruby. Oltre al messaggio, appunto sentimentale, di cui le pietre per principio acrostico sono portatrici, si pensava che ogni gemma avesse anche un insito potere magico.
DIADEMA E PETTINE DI LETIZIA, FIGLIA DI CAROLINA MURAT
La coppia formata da pettine e diadema apparteneva invece a Letizia, figlia di Carolina. Il duo di gioielli calca la moda, che prese piede in Germania, di realizzare gioielli con materiali non preziosi come l’acciaio brunito – per contrastare la carenza di pietre preziose durante la guerra contro Napoleone -.
La coppia è arricchita da sferette di corallo rosa, montate sulla parte sommitale di una corona in filigrana (argento dorato per il diadema, oro per il pettine). Come spiega Dora Liscia Bemporad nel suo saggio “I Gioielli di Carolina Murat”, la filigrana è una tecnica che torna di moda proprio in quel periodo. Consisteva nel piegare il filo di metallo in modo che seguisse una precisa trama o disegno.
Un gioiello sentimentale da menzionare è l’orologio che porta la firma di Abraham Colomby. Apparteneva a Carolina ma lo stringeva in mano Gioacchino Murat nel frangente in cui venne fucilato. Vi è il ritratto in miniatura della principessa di Napoli ma in veste di patriota: l’abito azzurro è arricchito da uno scialle bianco, fermato da un serto di tessuto sempre ceruleo, come le tre piume a ornamento del cappello.
L’ANELLO GEROGLIFICO DI PAOLINA E IL DOPPIO MEDAGLIONE CON LE MOGLI DI LUCIANO
Altro gioiello sentimentale, più precisamente di tipo geroglifico, è quello appartenuto a Paolina Bonaparte che fece incidere il motto “Ma hardiesse vient de mon ardeur” sulla pietra di luna incastonata in un anello. Quest’ultimo, decorato inoltre dall’immagine di una fiaccola ardente, consiste in un pegno d’amore a un amante: il medico Luigi Torello Pacini, conosciuto ai Bagni di Lucca dove la principessa soggiornava spesso “per passare le acque”. Il motto significa “la mia audacia viene dal mio ardore” e dovrebbe derivare dall’espressione italiana “da l’ardore l’ardire”. Ardore e ardire diventeranno poi una parola unica nel lessico d’annunziano.
Notevole anche il medaglione a due facce, sempre conservato presso il Museo Napoleonico, ove sono ritratte le due mogli (amatissime) di Luciano Bonaparte. Il committente voleva rievocare l’affetto per tutte e due le mogli, come già aveva fatto per la spilla-cammeo (opera di Nicola Morelli) ove i loro profili sono affrontati. Entrambi i ritratti sono realizzati su lamina sottilissima d’avorio. Nella parte superiore della cornice, sul lato dell’effigie di Alessandrina, un occhiello conclude il monile: ciò suggerisce il suo uso anche come pendente.
-Giorgia Basili
Si ringraziano per il supporto il Museo Napoleonico e la curatrice Laura Panarese
Museo Napoleonico Piazza di Ponte Umberto I, 1 - 00186 Roma Ingresso gratuito Orario Dal martedì alla domenica ore 10.00 - 18.00 Ultimo ingresso ore 17.30 24 e 31 dicembre ore 10.00 - 14.00 1 gennaio 2023 ore 11.00 - 16.00