AUTORE: PITTORE DELLA CERCHIA DI STEFANO MARIA LEGNANI DETTO LEGNANINO
SCUOLA: LOMBARDA
EPOCA: FINE SEICENTO
DIMENSIONI: 58 X 47
Il dipinto in esame costituisce una pregevole testimonianza della pittura dell’estremo limite dell’età barocca in Lombardia. Per alcune intrinseche caratteristiche iconografiche del soggetto sacro, esso può essere ascrivibile ad un pittore lombardo della cerchia di Stefano Maria Legnani detto Legnanino (1661-1713), artista dalla breve ed intensa carriera, operante tra il capoluogo e la provincia, che lascia la propria impronta anche in località meno prossime quali Torino e Genova.
Il suo contributo è, quindi, quello di un protagonista indiscusso del barocchetto nella Lombardia tardo seicentesca, in cui intende proporsi come innovatore, di autonomo stile e di indiscussa originalità, negli anni che precedono e preparano all’arrivo del Tiepolo.
Nel dipinto in esame, pienamente aderente alla tradizionale rappresentazione della Madonna con bambino, “maternità”, è rintracciabile, nel predominante classicismo delle forme, il fondamentale tributo all’eredità del Maratta (di cui secondo l’Orlandi il Legnanino fu allievo), soprattutto nei tratti distintivi del viso della Vergine.
C’è da precisare che, nonostante a differenza di altri artisti lombardi presenti a Roma, il Legnani non figuri tra i membri dell’Accademia di san Luca, il dato sembrerebbe essere tuttavia confortato dalla presenza di un suo dipinto nella chiesa romana di san Francesco a Ripa (“Sacra Famiglia”), ad oggi la sua prima opera nota, soprattutto in considerazione degli stretti ed intensi rapporti con l’ordine francescano, cui appartiene il menzionato edificio sacro.
Una maggiore e più marcata impronta reca nell’intera sua opera la lezione della pittura bolognese assimilata attraverso lo studio del Cignani: di un soggiorno bolognese e di un apprendistato presso il Cignani parlano sia l’Oretti che lo Zanelli.
In particolare, è l’antica grazia del Correggio, che il Legnani recupera per il tramite del Cignani, il tutto interpretato secondo una “sensibilità già settecentesca, mescolando un idealismo affettuoso ad un composito classicismo: sono questi gli aspetti che dal maestro passano nell’allievo, leggibili nei volti dei suoi eleganti personaggi femminili, negli innumerevoli angeli sorridenti di cui si popolavano le sue composizioni, siano essi pale d’altare o soffitti affrescati con fiabe mitologiche” (Marina dell’Olmo).
Sicuramente ascrivibile all’arco cronologico che gravita intorno agli ultimi decenni del seicento, il dipinto in esame, nel citato omaggio al Maratta ed al classicismo bolognese mai tradito, reca solo una residuale traccia del tenebrismo di Filippo Abbiati, dalla drammatica impostazione, rispetto alla quale il Legnanino, che non aderì all’Accademia Ambrosiana, si mantenne sostanzialmente estraneo.
Molto probabilmente, quasi certamente di committenza privata, il dipinto del nostro pittore può essere ricondotto, come nel caso specifico del Legnanino, alla richiesta di famiglie importanti, spesso inserite nelle più alte cariche amministrative, quali i Clerici, i Trotti, i Durini, o di personaggi significativi nel contesto sociale della città come Giuseppe Annoni o Cesare Pagani.
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