Firmato in basso a destra: "G. Rosati Roma"
Firmato in basso a destra "G. Rosati Roma".
Giulio Rosati è un'esponente di quella generazione di pittori romani, che si era affermata a livello internazionale nell'ultimo trentennio dell'Ottocento per l'uso virtuosistico dell'acquarello sulla scorta della lezione di Mariano Fortuny e grazie alla mediazione dell'influente mercante Adolphe Goupil. Tratto comune erano i colori briosi e vivaci, la scelta dei soggetti di genere in costume, la cura nell'esecuzione dei particolari e le dimensioni talvolta notevoli del supporto. Dipinti con maestria sono anche i dettagli di quest'opera raffigurante un mercante di tappeti, che presenta la sua mercanzia a due avventori, un uomo con la testa coperta da un shemagh colorato fermato da un agal giallo e blu e la vita segnata da una vivace fusciacca e una donna velata abbigliata con pantaloni all'odalisca, sullo sfondo di una città araba dalle tradizionali case basse. L'autore indugia sul tappeto e sui particolari delle vesti dai preziosi ricami fino ai bottoni che chiudono la casacca dell'uomo, resi con colori vivaci che contrastano con i toni più sfumati dello sfondo. Specialista indiscusso del genere orientalista, accanto a cui compaiono nella sua produzione più raramente temi genere in costume settecentesco, Rosati mette in scena un mondo arabo popolato di fieri cavalieri berberi e avvenenti odalische.
Ricorrenti sono il tema del mercato, che permette di fare sfoggio di abilità nella descrizione della mercanzia, e dell'harem riccamente arredato con tappeti minuziosamente tratteggiati. Si tratta di un mondo arabo ricreato con grazia ed eleganza in sintonia con il successo che l'oriente misterioso e selvaggio aveva incontrato sin dall'inizio del secolo grazie a maestri del romanticismo francese, da Eugène Delacroix a Horace Vernet e Jean-Auguste Dominique Ingres. La ricca messe di fotografie, immagini e oggetti disponibili attraverso i numerosi viaggi di studio compiuti da esploratori occidentali libera nel corso della seconda metà dell'Ottocento il genere da ogni tensione romantica per lasciare spazio alla documentazione dei costumi e della vita quotidiana a opera di artisti viaggiatori come Jean-Léon Gérôme, John Frederich Lewis, Alberto Pasini e Cesare Biseo. La grande fortuna del genere, ma anche l'immenso patrimonio iconografico, permette, dunque, agli orientalisti attivi tra Otto e Novecento di far rivivere in studio un oriente mai visitato perso-nalmente, così come il contemporaneo Emilio Salgari raccontava un mondo esotico e lontano basandosi esclusivamente sulle descrizione e i resoconti dei viaggiatori, in un continuo equilibrio tra documentazione e narrazione fiabesca, scevra di elementi troppo realistici.
Teresa Sacchi Lodispoto