Andromeda liberata da Perseo
Olio su tela, 172 x 155
Con cornice cm 195 x 177
E in quello scoglio sopra il lito asciutto
Ignuda la legaro al mostro, come
Dissi, che la trovò colui, che venne
À caso lì sù le Gorgonee penne.
Ovidio, Le Metamorfosi, IV
(traduzione di Giovanni Andrea dell'Anguillara)
Cassiopea, regina di Etiopia, vantò un giorno la bellezza della propria figlia Andromeda, a suo dire superiore a quella delle Nereidi marine. Offesa dall’oltraggio, Anfrite, madre di queste ultime, convinse Poseidone a vendicare l’onore delle figlie: si comandò così che Ceto, mostro marino, risalisse dalle profondità del mare e devastasse le coste di Etiopia. L’unica soluzione per placarne la furia era quella di sacrificare Andromeda. Incatenata a uno scoglio, la principessa venne avvistata dall’eroe Perseo, che per caso stava sorvolando la zona, precipitosamente in fuga dopo aver decollato la Medusa. Con il capo mozzato di questa, l’eroe pietrificò il mostro e poté così salvare la fanciulla
Nel presente dipinto si figura l’istante successivo alla liberazione di Andromeda: Perseo, rivestito ancora dei calzari alati utilizzati per volare, l’ha ormai sciolta dalle catene e la sostiene teneramente, novello innamorato. Alcune divinità marine accorrono a celebrare la vittoria: un tritone sulla destra sta suonando un corno, mentre un’altra personificazione, coronata di alghe, aiuta a portare in salvo Andromeda, seduta sul mostro pietrificato. In quest’ultimo è possibile riconoscere un ulteriore sviluppo del mito: dal sangue pietrificato del mostro, nacquero i coralli, gioiosamente accolti dalla comunità marina di tritoni e nereidi.
Il dipinto denuncia l’immediata matrice veneta, imperante nonostante il panno che veleggia di Andromeda, ferrarese nei densi ravvolgimenti che cadono da una spalla della giovane. Un caldo cromatismo serpeggia sui corpi dei ritrattati, illuminando e inondando di ombre all’occasione le muscolature in un moto ascensionale, al suo apice nel tritone con corno. Disposizione compositiva, torsioni e delicati movimenti rimandano alla stagione culturale tizianesca fieramente veneta, come ricorda nell’immediato un innesto del Veronese (Perseo libera Andromeda,1576-1578 Rennes, Musee des Beaux Arts).
Nell’ultimo quarto del Cinquecento si concluse nell’entroterra veneto la vita dei principali quattro artisti dell’epoca: Tiziano, Tintoretto, Veronese e Bassano, la parabola pittorica dei quali seguitò nei decenni a venire in veste di più o meno decantata imitazione. Sulla loro scorta, la celebre penna di Marco Boschini (Le ricche Miniere della Pittura veneziana) distinse sette maniere ricavabili da altrettanti artisti, che intinsero motivo ispiratore da essi. Tra i sette, Jacopo Negretti, meglio noto come Palma il Giovane, rifletté un pragmatismo materico simile al presente, concentrando scene mitologiche in composizioni voluminosamente animate. La stessa Andromeda liberata da Perseo (Museum Schloss Wilhelmshöhe, Gemäldegalerie Alte Meister, Kassel) apre una sequela episodica in cui sono da inserirsi, affini al presente, Le tre Grazie (Accademia di San Luca, Roma e coll. priv.) e Loth e le figlie (Amsterdam, Rijksmuseum). Sintomatico che altri artisti quali Paolo Fiammingo (L’amor Letheo, Vienna, Kunstistorisches Museum), Felice Brusazorci (Loth e le figlie, coll. priv.) e Pietro Mera (La caduta dell'uomo, Walters Art Museum Baltimora e Diana e le ninfe sorprese da Atteone, coll. priv.) abbiano assimilato gli stessi moduli realizzativi del presente, nel contesto del panismo veneto di fine Cinquecento.
Il soggetto non è nuovo nell’entroterra della Serenissima: raccogliendo la visione di Bonifacio de’ Pitati (Perseo e Andromeda, Bergamo, Accademia Carrara), l’artista del presente si accosta al lessico tizianesco di metà secolo. Se Andromeda liberata da Perseo di Tiziano (Wallace Collection, Londra), commissionata da Filippo II di Spagna, introduce i sottili gioielli indossati dalla principessa, è in Marte che spoglia Venere (Edimburgo, National Gallery of Scotland) e Venere e Marte uniti da Amore (The Met, New York) del Veronese che è possibile ravvedere la stessa, docile vicinanza dei due innamorati.