Lot e le figlie
Olio su tela; Misure: cm H 73 x L 93; cornice H 88 x L 108 x P 5,5
Il dipinto, di bella qualità pittorica, raffigura la scena biblica di Lot e le figlie, con Sodoma incendiata sullo sfondo, ed è stilisticamente attribuibile al pittore bolognese Giuseppe Gambarini (Bologna, 17 marzo 1680 – Casalecchio di Reno, 11 settembre 1725).
La tela mostra al centro Lot seduto e già ebbro, raffigurato secondo l’iconografia tradizionale, anziano, canuto e con lunga barba grigia. Con la mano sinistra afferra il fiasco di vino che una delle sue figlie gli porge. Ella è raffigurata inginocchiata e poggiata a grandi massi di pietra, descritti come basamento architettonico, vestita di un voluminoso manto blu intenso, i capelli coperti da un copricapo umile fatto di un panno annodato; guarda lo spettatore, come a volerlo coinvolgere direttamente nella scena. L’altra figlia è descritta a sinistra, di spalle all’osservatore, con la schiena nuda e i capelli scuri raccolti da un nastro rosso. Anche lei è intenta a servire al padre una tazza in cui versare il vino. Attorno a loro un’anatra posta su di un panno, del pane e un altro fiasco di vino arricchiscono la composizione descrivendo un banchetto in corso.
La scena è ambientata all’aperto, dove solo una grande tenda sorretta da rami arrangiati a capanna funge da riparo alle figure. Sullo sfondo un paesaggio a tratti boschivi si confonde cromaticamente con l’azzurro del cielo. A destra in lontananza, è descritta la città di Sodoma, già distrutta e in fiamme. La moglie di Lot e la madre delle due sorelle è visibile alle porte della città, già trasformata in statua di sale.
L’episodio biblico è narrato nel libro della Genesi (19,10): il patriarca Lot, nipote di Abramo, diede ospitalità nella propria casa a due angeli di aspetto maschile, offrendo le proprie figlie vergini alla folla di Sodoma, per salvare i due angeli. Questi ostacolarono la folla per dare alla famiglia di Lot il tempo di allontanarsi dalla città di Sodoma, situata nei pressi del Mar Morto, prima che Dio la distruggesse per spazzare via il peccato che la possedeva, mediante una pioggia di fuoco e zolfo. Durante la fuga, la moglie di Lot, disobbedì al comando divino che la avvertì di non guardare indietro verso la città in fiamme e fu trasformata in una statua di sale.
Lot e le figlie giunsero a Zoar, rifugiandosi in una grotta di montagna. Le due ragazze, credendo che la loro famiglia fosse l’ultima sopravvissuta sulla terra, fecero ubriacare il padre, unendosi a lui, a sua insaputa, per due notti di seguito, pur di dare un futuro alla razza umana.
L’atto incestuoso è raffigurato nell’opera in oggetto con discrezione: l’artista evidenzia sottilmente le conseguenze dell’ubriachezza di Lot e le figlie sono tratteggiate con garbo nel loro porsi a lui con fare seducente.
Inequivocabilmente di scuola emiliana, la tela trova convincenti confronti con le opere di Giuseppe Gambarini. Il pittore nacque nel 1680 a Bologna da una famiglia di modeste condizioni. Intorno al 1693 divenne allievo di Girolamo Negri, pittore attivo nella bottega di Lorenzo Pasinelli, e qui conobbe Giampietro Zanotti, il quale, oltreché compagno di studi, fu il suo primo biografo. In seguito si trasferì presso Benedetto Gennari, nipote del Guercino, dove ebbe modo di recepire quel naturalismo che lo avrebbe condotto a raccogliere la lezione di Giuseppe Maria Crespi e a dedicarsi in seguito prevalentemente alla pittura di genere. La quasi totale mancanza di precisi riferimenti cronologici relativi alla produzione pittorica di Gambarini rende assai problematica la ricostruzione del suo percorso artistico. Esordì con ogni probabilità come figurista per decorazioni prospettiche. Nel 1709 andò a Vienna, attivo nel palazzo di città del principe Eugenio di Savoia; tornò poi a Bologna, dove, nel 1709, fu eletto accademico clementino. Nelle opere di poco successive prevale l'impronta naturalistica che piega in senso guercinesco la prima formazione pasinelliana. Nel 1712-13 si recò a Roma dove ebbe modo di conoscere approfonditamente la pittura di genere che nella città, a partire dai bamboccianti, aveva ricevuto ampio consenso; in tale contesto culturale si inserisce la scelta, dopo il rientro a Bologna, di trattare soggetti umili. A ciò va aggiunta l'influenza esercitata dalla pittura del Crespi. Il 21 dicembre 1716 il pittore fu nominato «direttore di figura» dell'Accademia Clementina. Gambarini mori l'11 settembre 1725 nel palazzo Samperi a Casalecchio di Reno, presso Bologna.
Lo stile pacato e classicista che contraddistingue le sue opere dal suo secondo periodo bolognese lo si riscontra anche nell’opera oggetto di questo studio che appare ben equilibrata nella composizione e nello studio cromatico, molto gradevole e di bell’effetto scenico. Anche in questo dipinto il pittore fa uso di un blu saturo e intenso, colore che sovente si ritrova nelle sue tele e con cui Gambarini amava descrivere soffici panneggi che vestono le sue figure. La fanciulla, inoltre, che volge lo sguardo verso l’osservatore appare molto vicina, tra le tante, a quella effigiata nell’opera Scena famigliare con filatrice, conservata alla Pinacoteca Nazionale di Bologna.
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