Madonna di Loreto tra i Santi Giacomo maggiore e Girolamo
Tempera su tavola, cm 49,5 x 38,5
Con cornice, cm 72,5 x 63
Il linguaggio artistico comune all’area compresa tra Venezia e l’immediato oriente mediterraneo assunse a partire dal XIII secolo una koiné diffusasi sino in Dalmazia. La tradizionale definizione che ne stigmatizza l’area di appartenenza, ossia Scuola Veneto o Dalmato-Cretese, racchiude un formalismo ricorrente, tipicamente declinato su tavole private di dimensioni agevoli, destinate a fungere da ex voto o immagini commemorativa nonché professioni di fede. La centrale cultura veneziana, principale matrice effettiva di questa particolare declinazione pittorica, si giustificò sulla scorta del primato politico e commerciale, in un’epoca che aveva consegnato nelle mani della Serenissima il prontuario figurativo del territorio cerniera a mezzo tra Europa e Asia. La stessa isola di Creta, l’antica Candia, si piegò al dominio della Repubblica nel 1211 in seguito alla Quarta Crociata.
Nella presente opera, la canonica trattazione della superficie coloristica, di scultoreo cangiantismo in corrispondenza delle vesti dei raffigurati, figura un soggetto assai apprezzato in centro Italia: il miracolo del Santuario della Madonna di Loreto. Leggenda vuole che nella notte tra il nove e il dieci dicembre del 1294 un gruppo di angeli avesse sollevato nella sua interessa la casa della Vergine e che l’avesse trasportata dalla Palestina alla città marchigiana. Nel 1296 l’eremita fra’ Paolo della Selva ebbe la conferma dell’accaduto in una visione, che venne trasposta in una tabula e quindi inserita nella cronaca del 1465 redatta da Pier Giorgio di Tolomei detto il Teramano. Meta di pellegrinaggio sin dal Trecento, la casa, divenuta subito santuario, attirò uno stuolo di re e regine, papi, condottieri e fondatori di Ordini religiosi.
L’opera in esame, ascrivibile ad un artista sì veneto ma forte anche della recezione del lessico marchigiano, rimane fedele alle composizioni dalmato-cretesi di antica data: l’organizzazione dei Santi, liberamenti collocati entro l’ampio brano paesistico sullo sfondo, parteggia per quella fetta di scuola fedele ai tagli tipici dei maestri della prima stagione veneta, quale fu Tiziano, largamente preferita nell’ambito della suddetta realtà artista rispetto, ad esempio, al taglio belliniano che pure conobbe parziale fortuna. La tradizione iconografica di base, quella bizantina, viene quindi qui superata nel naturale colorismo che si diffonde lungo la tavola, definibile, stavolta, come vera e propria icona rinascimentale.
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