Questo qualitativo “Vaso di fiori” che vede traboccare da un cesto in vimini una rigogliosa selezione floreale raggruppata, in cui spiccano anemoni, garofani e rose, è davvero ricercato e molto fine.
L’oggettivazione mimetica dei singoli parametri risulta affidata ad una minuziosa azione lineare e a squillanti gamme cromatiche, esaltate dalla fonte luminosa che colpisce direttamente il gruppo, lasciando i parametri arretrati in controluce sulla sinistra e in completa penombra quelli sulla destra. Un’impostazione espositiva eseguita però meccanicamente, pur denunciando una basilare prima lezione realistica, ormai chiaramente impiegata con intenti eminentemente decorativi, brillantemente conseguiti anche se la ricercata soffusa lievità dei petali appare in taluni casi – gli anemoni e i tulipani - leggermente indurita con effetti che sfiorano il cristallino.
Le finalità di un ‘nobile decoro arredativo’ sono brillantemente ottenute, grazie a una perfetta padronanza di uno schema compositivo, ormai collaudato già nella seconda metà del Seicento da tutte le specifiche scuole in Italia, sulle dirette orme di Mario Nuzzi, più noto come “Mario dei Fiori”, che si era a sua volta riallacciato alla tradizione cinquecentesca dei Paesi Bassi. Il risultato appare infatti in linea con quelli dell’ancora misterioso – più per la sua precisa identità che per le sue opere ormai abbondantemente focalizzate – Francesco Mantovano, ed anche con diversi esempi assegnati alla famiglia Stanchi, per finire al succitato ‘capostipite’ di questo soggetto in Italia, con il quale l’autrice di questo “Vaso di Fiori” ha addirittura un rapporto diretto.
La nozione che fosse la migliore tra gli scolari di Mario, tanto da riprenderne anche l’appellativo, è stata riecheggiata da Onofrio Giannone e poi dall’Abbate Lanzi (dice di lei che “meglio di tutti lo imitò”), scrive sempre il De Marchi che, precisando “la deriva” della Bernasconi da un’originaria oggettivazione realistica a un’adesione barocca, al passo con le convenzionali richieste decorative dell’aristocrazia romana, ne ha puntualizzato la sua tipica morfologia floreale, atta a rendere possibili nuove individuazioni, come quelle illustrate (2005, op. cit. figg. L:B: 5- 14, pp. 457-462) nel suo citato saggio. Alle quali ritengo che, secondo le considerazioni sopra esposte, sia di pertinente attinenza aggiunge il presente “Vaso di fiori” qui preso in esame.
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Dr. Riccardo Moneghini
Storico dell' Arte