Vecchia con candela
Olio su tela, cm 91 x 70
Con cornice cm 125 x 104
Si tratta di una scena di genere ambientata in notturna: un’anziana signora ha il volto rugoso illuminato dalla fioca luce di una lampada a petrolio, che irradia i suoi raggi sulle dita sottili, intente a contare le monete, sui dettagli precisissimi della veste e sul volto, lasciando in ombra tutto il resto. L’intimità della scena riflette alcuni dipinti di ascendenza caravaggesca, come Vecchia con candela, 1650-1700 (Milano, Collezione Fondazione Cariplo). Federico Zeri ne dirotta l’attribuzione da Rubens alla bottega del grande artista. Si tratta in realtà, di una copia libera da un’invenzione di Rubens, nota attraverso una tela, menzionata alla morte del pittore del suo inventario come “pourtrait d’une vieille avec un garcon, à la nuict”. Esiste anche un’incisione con la scena ripresa al rovescio, dell’origina al Museo de L’Aia e collocabile tra il 1616 e 1617 circa. Solitamente considerata come una delle poche realizzate direttamente dall’artista, quest’ultima porta in calce un’iscrizione con chiara allusione al tema della ‘vanitas’: “quis vetet apposito, lumen de lumine tolli / Mille licet capiant, deperit inde nihil” (R. Mezzetti, in Rubens e l’incisione 1977, p. 14, n. 2; tav. 2; cfr. i diversi esemplari conservati al British Museum di Londra).
Altro eccellente interprete della cosiddetta “pittura di luce” è Matthias Stom o Stomer (Amersfoort c. 1600-dopo il 1650, Sicilia). Tra i più straordinari estimatori del tardo caravaggismo europeo, nacque intorno al 1600 e si formò tra le Fiandre e l’Olanda sotto Gerard van Honthorst, nell’ambito di una cultura di passaggio tra il tardomanierismo e la grande rivoluzione naturalistica determinata dall’impatto degli artisti nordici con la pittura avanguardistica di Caravaggio. L’attività dello Stom si svolse attraverso un lungo peregrinare per la penisola italiana. Documentato per la prima volta nel 1630, in una Roma ormai in piena esplosione barocca, egli fu partecipe di un gruppo di “romantici” naturalisti. Una sua peculiarità è la raffigurazione di figure in primo piano, molto vicine al riguardante, delineate da forti contrasti chiaroscurali e realismo accentuato.
L’eccezionale abilità nel ritrarre scene notturne illuminate da torce e candele gli permise di emergere negli ambienti artistici napoletani, frequentati tra il 1633 e il 1637 circa. Fu proprio nella città partenopea che egli riuscì a rinnovare il proprio linguaggio, affiancandosi agli ultimi raggiungimenti di Jusepe Ribera e della pittura ariosa promossa nell’ambito delle correnti neovenete. Su questo fronte, senza tralasciare l’interesse per i notturni, egli si mosse una volta sbarcato a Palermo, dove rimase fino al 1645 circa, innestandosi nel circuito dei numerosi artisti fiamminghi attivi in città. Ingaggiato dalla più potente aristocrazia terriera, egli diede alla luce in Sicilia alcuni tra i suoi massimi capolavori, ultima e straordinaria espressione della poetica naturalista del primo Seicento.
Il presente dipinto segue una lunga tradizione di raffigurazioni di uomini o donne che contano denaro. Tali scene spesso oscillano tra il genere e l'allegoria, con le figure a volte destinate a rappresentare l'Avarizia - l'avarizia o l'avidità - uno dei sette peccati capitali. Nell'Iconologia di Cesare Ripa, l'avarizia è descritta come una donna anziana - "perché la cupidigia domina negli anziani". È accompagnata da un lupo e ha una borsa chiusa, che "prova più piacere a guardare [...] che [...] usare [...] per alleviare angoscia e indigenza". Tuttavia, rendendosi conto di ciò, lo spettatore arriva a comprendere meglio la morale sottostante, ovvero che lottare per la ricchezza materiale non ha senso, che la vita riguarda cose più importanti. I dettagli sono ridotti al minimo in una sintesi che coinvolge anche la stesura della pittura, come i giochi di luce sulla mano destra o i vividi riflessi che scrutano al millimetro il volto dell’anziana donna, velato da malinconia. La predilezione del pittore è per i contrasti quasi drammatici di luci e ombre, per la luce delle candele, per i colori rosso e giallo e per i gesti e le espressioni vivaci. Le sue teste sono straordinariamente vivaci e spesso hanno una qualità personale, persino ritrattistica. Questa espressività è sottolineata dalla combinazione di tratti rugosi, solcati e suggestivi chiaroscuri. Nonostante queste teatralità visive, l'artista è riuscito anche a suggerire un grande senso di intimità: la donna è completamente assorbita dal suo compito. I suoi vestiti e le sue mani ruvide sono estremamente accentuate e la caratterizzano come appartenente al popolo.
Gli effetti luministici e chiaroscurali risentono infatti dell'influenza dell'arte di Caravaggio e dei caravaggeschi, artisti che i fiamminghi in Italia ebbero modo di apprezzare e di studiare, si veda la celebre Cena in Emmaus di Brera (1606), in cui il volto rugoso della vecchia sullo sfondo richiama quello qui in esame, come anche i riflessi chiaroscurali; volti messi a confronto anche con la Madonna dei Pellegrini in Sant’Agostino a Roma, con la Madonna dei Palafrenieri (Galleria Borghese) e con Giuditta e Oloferne di Tolosa.
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