Joseph Bolzern (Kriens 1828, –Roma, 1901)
Basilica di San Pietro e colonnato antistante
Olio su tela, cm 53,5 × 70,5 – Con cornice, cm 67,5 x 85
Firmato e datato in basso a sinistra: Bolzern. J. pinx Roma 1889
Simbolo indiscusso della storia di Roma, Piazza San Pietro deve il suo assetto finale ad una lunga e meditata gestazione. Attorniante uno dei tredici più antichi obelischi della capitale, quello egiziano in granito rosso proveniente dalla città di Hieropolis, la piazza omaggiò di trascendentale bellezza il martyrion (memoria) petrino sin dall’epoca costantinopolitana. Fu tuttavia soltanto a partire dal Seicento che si concretizzò il progetto di fare di San Pietro il centro simbolico della cristianità, rimodellando l’antico assetto della basilica antica, del quadriportico cosiddetto “del Paradiso” a essa connesso e dell’intera piana antistante. Papa Giulio II affidò al Bramante la risistemazione del prospetto longitudinale del corpo di fabbrica, imponendo un conseguente ripensamento dell’intera piazza. Il ricordo dell’antico circo neroniano venne soppiantato attraverso il ripensamento della piazza a direzione focale centralizzata, ma il Bramante non poté portare a compimento l’impresa a causa della prematura morte. Dei successivi progetti di risistemazione della basilica, ai quali contribuirono Michelangelo, Fra’ Giocondo (1433-1515), Giuliano da Sangallo (1445-1516), Raffaello (1483-1520) e Antonio da Sangallo (1485-1546) rimangono modelli e disegni di vola in volta proposti al papa in seggio. Abbattuti definitivamente gli ultimi resti della basilica costantinopolitana per volere di Paolo V, il Maderno iniziò i lavori di prolungamento, surclassati dall’avvento del Bernini, incalzante con proponimenti innovativi relativi gli interni e l’esterno della basilica. La caratteristica forma ellittica dell’imponente colonnato berniniano comanda ancora oggi l’immaginario collettivo vaticano, completando suggestivamente la metafora dottrinaria della piazza. Commissionato al Bernini da papa Alessandro VII, il colonnato si compone tutt’oggi di 284 colonne su quattro file. Dopo undici anni di lavoro (1656-1667) e più di quarantamila metri cubi di travertino giunti da Tivoli via terra o trascinati lungo le sponde del Tevere da cavalli, la piazza brillò alfine di rinnovato splendore.
Riprodotti nei minimi dettagli la Basilica di San Pietro e il suo colonnato furono per ben quarant’anni una visione quotidiana per Jospeh Bolzern ((Kriens 1828, –Roma, 1901), autore dell’opera. Pittore di origine svizzera nato il 4 aprile del 1828 a Kriens (piccolo comune nel Cantone di Lucerna) fu un abile pittore e litografo. La sua carriera inizia nel Cantone di Berna dove, dopo una prima formazione come litografo, diventa maestro di disegno. La sua vita cambia completamente quando decide di spostarsi a Roma e di entrare nel corpo armato delle Guardie Svizzere. Qui per oltre quarant’anni cerca di proteggere il soglio pontificio utilizzando il tempo libero come momento creativo, realizzando quadri con scorci della Città Eterna, come quello preso qui in esame, ma anche pale d’altare per chiese svizzere e tedesche.
L’artista con questo dipinto sembra voler celebrare non solo l’imponenza di un luogo tanto importante per la cristianità, ma anche il lavoro svolto dalle guardie Svizzere e il loro profondo legame con il papa attraverso una semplice scena quotidiana. In basso al centro del dipinto si può infatti scorgere una vettura dorata con al seguito un battaglione di soldati a cavallo, si tratta di papa Leone XIII (salito sul soglio pontificio nel 1878 fino alla morte avvenuta nel 1903) che viene accolto da una piccola folla di fedeli festante.
Papa Leone XIII (in latino: Leo PP. XIII, nato Vincenzo Gioacchino Raffaele Luigi Pecci), È ricordato nella storia dei papi dell'epoca moderna come pontefice che ritenne che fra i compiti della Chiesa rientrasse anche l'attività pastorale in campo socio-politico. Se con lui non si ebbe la promulgazione di ulteriori dogmi dopo quello dell'infallibilità papale solennemente proclamato dal Concilio Vaticano I, egli viene tuttavia ricordato quale papa delle encicliche: ne scrisse ben 86, con lo scopo di superare l'isolamento nel quale la Santa Sede si era ritrovata dopo la perdita del potere temporale con l'Unità d'Italia. La sua più famosa enciclica fu la Rerum Novarum, con la quale si realizzò una svolta nella Chiesa cattolica, ormai pronta ad affrontare le sfide della modernità come guida spirituale internazionale. In questo senso correttamente gli fu attribuito il nome di «papa dei lavoratori» e di «papa sociale»:
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