L'artista esegue terrecotte e bronzi che illustrano l'epos abruzzese, con accenti retorici anticipatori delle stesse ricerche michettiane. I protagonisti delle sue opere sono quasi sempre popolani abruzzesi, che lo scultore coglie con indagine esatta e attenta.
Barbella diventa progressivamente ipovedente, e si ritira in solitudine. Dopo una visita allo studio ormai vuoto di Barbella, il giornalista Alberto Orsi (sulla rivista "Noi e il mondo" del 1 gennaio 1917) scrive:
"[...] Pochi sanno quale tortura sia per Costantino Barbella l'inazione, perché pochi sanno che la vita del grande scultore abruzzese è stata una continua esplosione di operosità vivace [...]"
Lo scultore è consolato solo dall'assistenza della figlia Bianca, che rinuncia a farsi suora, e sposa nel 1924 il barone Franco Càuli di Casalanguida.
Nell'Esposizione internazionale degli Amatori e Cultori di Belle Arti di Roma del 1919, presenta una delle ultime opere, Il cieco (1916). Barbella dà alla scultura il nuovo titolo Luce nelle tenebre, suggerendo una lettura autobiografica della sua sofferenza fisica, che si misura con la forza vitale della scultura.