Datato 1833.
La firma, parzialmente leggibile si trova sul lato destro, messa in verticale , con lettere in corsivo marrone chiaro.
Gouache.
Presenti piccole cadute di colore.
A destra della firma, nella parte marginale c’è una lieve piegatura del materiale di supporto su cui è dipinto il piccolo ritratto.
Nel 1833, gli uomini di classe tendevano a portare i capelli corti ai lati con più lunghezza in cima.
L’uso di pomate o oli per capelli era frequente per mantenere l’acconciatura in ordine per tutto il giorno.
Una cravatta nera, non dissimile a quelle che avrebbero potuto adornare il collo di un Balzac o di un Baudelaire, giace contro una camicia plissettata, i cui bottoni, simili a piccole gemme lussureggianti, hanno diamanti incastonati nel onice nero.
Nell’anno 1833, l’aristocrazia maschile si adornava di capigliature scolpite con precisione quasi matematica, i capelli corti ai lati e più lunghi al vertice, come se ogni ciocca fosse un pensiero filosofico nella mente di Hegel. Pomate e oli erano gli strumenti per domare la chioma, per mantenere l’ordine in un mondo dove l’ordine era tutto.
La giacca, lasciata aperta in un gesto di disinvoltura studiata, rivela un gilet nero, un abisso tessile su cui danzano righe azzurre che formano quadrati, quasi un mosaico bizantino. I bottoni, quadrati e adamantini, sono come sigilli di un patto non scritto di eleganza e nobiltà.
E infine, il foulard nero, annodato con la precisione di un rituale, un accessorio che nel 1830 era tanto una dichiarazione di moda quanto di filosofia personale. Un dandy dell’epoca avrebbe scelto con cura tale ornamento, consapevole che ogni piega, ogni nodo, ogni scelta di tessuto era un manifesto di sé, un dialogo silenzioso con l’osservatore.
Incastonato in una cornice che appartiene a un’epoca successiva, questo ritratto miniatura è un palinsesto, un testo visivo che racconta di un’epoca in cui l’abbigliamento era un codice, una forma d’arte, un’espressione della propria posizione nel grande racconto della società.