La sosta dei soldati e La marcia dei soldati
Olio su tela, cm 40 x 58 e 40 x 60 (senza cornice) cadauno; con cornice: h 52,5 x L 70,5 x P 6 e h 52,5 x L 72,5 x P 6
I dipinti qui presentati, di rilevante valore pittorico e attribuibili al pittore Francesco Simonini, raffigurano due momenti diversi legati al filone delle battaglie e alle tematiche militari, ovvero La sosta dei soldati e La marcia dei soldati. Nel dipinto qui presentato a sinistra si possono osservare a destra in primo piano alcuni soldati seduti ed intenti a giocare a dadi, mentre accanto una coppia banchetta con del vino. La scena si svolge all’aperto, in una campagna, accanto a un promontorio roccioso sulla cui sommità domina una torre. Sulla sinistra si trova una coppia di signori in abiti nobiliari e un mendicante porge loro un cappello in segno di elemosina. In secondo piano, sono descritti altri personaggi tra cui soldati a cavallo e viandanti, mentre in lontananza si scorge una città e un alto campanile. L’orizzonte è delineato da rilievi rocciosi e altri piccoli borghi. Il cielo azzurro è segnato da alcune nuvole bianche e vaporose.
L’altro dipinto raffigura, nella metà inferiore della tela, uno schieramento militare in cui diversi soldati a cavallo sono radunati e pronti a marciare. In lontananza si distingue una città con mura e torri oltre la quale una prominente montagna funge da quinta alla scena. Qualche nuvola vivacizza il cielo sereno.
Il genere della pittura di battaglie e di scene strettamente legate al conflitto, tra cui le paghe e le soste dette truppe, gli avanzamenti e le marcie dei soldati, riscontrano grandissimo successo nelle collezioni della nobiltà italiana ed europea del XVII e XVIII secolo. La pittura di battaglia fu un genere amato e richiesto soprattutto dalle grandi famiglie aristocratiche, come i Medici a Firenze e gli Estensi a Parma, che amavano arredare i propri salotti con i dipinti dei più importanti “battaglisti”.
Tra questi, si distinse Francesco Antonio Simonini (1686 – 1766) che, dopo aver lavorato a Parma, Roma, Firenze e Bologna, realizzò a Venezia la maggior parte dei suoi lavori.
La coppia di dipinti oggetto di questo studio può essere restituita con ragionevole convinzione per comparazione stilistica, al corpus di opere di questo pittore.
Francesco Antonio Simonini nasce a Parma il 16 giugno 1686, secondo quanto attestato nel suo certificato di battesimo reso noto da Enrico Scarabelli Zunti nella seconda metà del secolo XIX. Lo storico parmigiano ci ha inoltre informato che il pittore sposa Giulia Pisani, dalla quale ebbe due figlie, Maria Caterina e Caterina Maria Maddalena. Dopo un apprendistato presso Francesco Monti detto il Brescianino delle Battaglie (Brescia 1646 - Parma 1712) e Ilario Spolverini (Parma 1657 - Piacenza 1734), dai quali apprende il genere pittorico che caratterizza la sua carriera artistica, Simonini avvia la sua attività a Parma fino al 1718. Poco dopo si trasferisce a Bologna dove entra in contatto con il nobile Muzio Piccolomini che diviene attivo sostenitore e promotore della sua pittura. Nel 1731 si trasferisce a Venezia e dal 1740 al ’45 è iscritto alla Fraglia dei pittori. Gli anni veneziani sono i più prodighi di soddisfazioni per Simonini, sia sul piano professionale che economico. Nel 1733 entra in contatto con il maresciallo comandante Johann Matthias von der Schulenburg, che diviene suo grande mecenate, avvalendosi anche della sua consulenza per l’acquisto di quadri di altri pittori. Divenuto suo pittore ufficiale, Simonini lo segue nelle sue campagne militari dipingendo un gran numero di scontri di cavalleria.
Nel 1738, vedovo di Giulia Pisani, Simonini si sposa con la trentenne Giustina Catta. A Venezia intanto conquista una certa notorietà anche nelle decorazioni ad affresco: si ricordano quelle di casa Capello al ponte della Latte, oggi perdute, delle quali vi sono i disegni preparatori conservati a Venezia presso la Biblioteca del Museo Correr; gli affreschi di palazzo Balbi e quelli a monocromo, eseguiti nella prima metà degli anni Quaranta del Settecento, nella villa Pisani a Stra. Nel 1748 si trasferisce a Firenze, in ristrettezze economiche nonostante i successi sul piano professionale. Inizia a lavorare per il marchese Andrea Gerini, uno dei personaggi in quel momento più influenti nel mondo artistico italiano, e grazie a lui viene ammesso nell’Accademia del disegno. Ma Firenze non gli offre molte opportunità di mercato, e, anche se in questo periodo l’artista raggiunge la piena maturità nella sua forma espressiv,a è Muzio Piccolomini a provvedere al suo sostentamento, commissionandogli diversi lavori per la sua villa di Fagnano, situata sui colli del Chianti senese. Riceve intanto diverse richieste di opere per alcuni collezionisti veneziani, tra cui Pietro Gradenigo.
Simonini inizia ad accusare un problema alla vista, che lo porta progressivamente a liberare la sua forma espressiva dai vincoli del disegno e a esprimersi con pennellate sicure e veloci condotte con grande abilità tecnica. La sua situazione economica continua tuttavia a peggiorare, e Muzio, sollecitato dai suoi corrispondenti di Venezia e Firenze e soprattutto da quello di Bologna, fa eseguire dal pittore una serie di quadri intitolati La vita del soldato, completati nel 1759 e tratti dalle 18 incisioni di Jacques Callot dal titolo Les misères et les malheurs de la guerre, edite a Parigi nel 1633, delle quali Piccolomini possedeva una copia. Di queste opere conosciamo solo sei dipinti, due di proprietà del Musée du Louvre, in deposito al Musée Historique Lorrain di Nancy, e altri quattro in collezioni private.
Simonini riesce a far ritorno nella città natale, in cui muore nel 1766. «Francesco Simonini paesista e battaglista eccellente [...] morì in casa dei conti San Vitali nel 1766» e venne sepolto in quella città nella chiesa di S. Giovanni Evangelista (Zecchini, 2008,).
Il suo particolare stile, caratterizzato da pennellate rapide e dall'uso di colori vivaci, si forma soprattutto sotto l'influenza della scuola veneziana. Caratteristica inoltre della sua pittura è la tendenza a realizzare figure allungate e sinuose, l'attenzione ai particolari paesaggistici e architettonici anche di stile classico, la profondità del paesaggio che si perde all'infinito, la linea dell'orizzonte quasi indefinita per il confondersi di cielo e terra, la drammaticità e il realismo in cui si nota l'influenza di Salvator Rosa. È quindi possibile affermare che Simonini abbia saputo reinterpretare la lezione dei predecessori, arricchendola di un colorismo alla veneta, acquisito nel corso della lunga permanenza nella città lagunare, e di un tocco libero e sfrangiato, che dona leggerezza alla composizione.
Dal confronto stilistico tra le opere in oggetto e quelle restituite al catalogo di Francesco Simonini appaiono evidenti le peculiarità della sua pittura. Le eleganti figure allungate e trattate con pennellate sicure e rapide, la maniera in cui è descritto il paesaggio e il cielo, la tavolozza cromatica sono infatti del tutto comparabili a numerose altre tele di Simonini. Altrettanto per l’utilizzo del bianco, che l’artista utilizza sapientemente creando lumeggiature e punti di luce utili a conferire tridimensionalità alle sue figure e resa materica, come lo scintillio delle armi e i soffici piumaggi dei cappelli.
La stampa di un’acquaforte, conservata a Napoli e tratta da un disegno di Francesco Simonini, mostra chiaramente una composizione del tutto simile a quella presente in una delle due tele in oggetto. La visione speculare dei soggetti deriva dalla tecnica stessa di stampa: l’incisione su rame del disegno avviene sulla lastra, dopo di che questa viene capovolta e stampata su carta producendo un’immagine simmetrica.
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