(Napoli, 1615 - Roma, 1673)
Paesaggio costiero con armigeri in riposo
Olio su tela, cm. 73x87
Monogramma “SR” in basso a sinistra
In condizioni generali molto buone
Entro cornice in legno dorato
L’opera raffigura una gradevole scena paesaggistica nella quale si inseriscono, in primo piano nell’angolo di sinistra, un gruppo di cinque armigeri a riposo sopra un grande masso. Tutto il dipinto è un esempio perfetto della visione pittorica preromantica che rende peculiare il catalogo di Salvator Rosa e anticipa il genere paesaggistico del secolo successivo.
Pittore e incisore, poeta di satire, filosofo, attore di teatro, musicista, fondatore dell’accademia dei Percossi, interessato alle pratiche di alchimia e di magia e alla stregoneria, sempre teso nel difficile tentativo di far coincidere arte, vita e pensiero; spirito libero e bizzarro, irrequieto e anticonformista. Salvator Rosa fu un artista a tutto tondo e - verosimilmente proprio a causa della sua pittura - fu ignorato o addirittura disprezzato dal suo secolo. Fu solo con la stagione neoclassica che la sua opera cominciò ad incontrare i favori di pubblico e critica, grazie soprattutto al giudizio dell’architetto paesaggista William Kent, secondo cui i giardini inglesi dovevano distinguersi dai giardini all’italiana, dovevano cioè essere irregolari, burrascosi, «degni della matita di Salvator Rosa» (fit for the pencil of Salvator Rosa).
L’arte di Salvator Rosa servì da esempio e ispirazione per i pittori del tempo; le sue opere, infatti, in particolare i paesaggi, rendono con forza la perenne tensione tra uomo e natura, quest’ultima caratterizzata da asperità, irregolarità, potenza soverchiante, così vicina all’idea di Sublime teorizzata da Burke. Così i paesaggi del Rosa, in cui l’uomo non è che una minuscola apparizione in mezzo ad una natura incombente e minacciosa, divennero modello del paesaggio romantico.
Rispetto al paesaggio classico di Lorrain o di Poussin, basato sui valori di ordine, equilibrio e armonia, quello dell’italiano Salvator Rosa sembra prefigurare sensibilità e suggestioni tipicamente romantiche, per i suoi elementi di forte spettacolarità, nella quale misura ed equilibrio lasciano il posto all’irrompere delle forze di una natura spesso oscura e irrazionale, già evidente nei colori più bruni e terrei e nei più vivi contrasti chiaroscurali rispetto a quelli delle scene bucoliche del paesaggio di matrice ideale.
Il pittore non si ferma alla contemplazione della natura, trascendendo il dato reale con la forza dell’idea, ma la trasfigura drammaticamente, proiettando su di essa la propria inquietudine interiore. La natura di Salvator Rosa si distacca dal dato oggettivo divenendo visione interiore, animata da pathos e da forze misteriose e spesso distruttive. Lo si può vedere nella presenza, in alcune sue opere, di alberi stroncati o seccati, di tronchi nodosi e contorti, di anfratti scoscesi e dirupi, di rocce, lisce o frastagliate, che talora assumono forme umane o animali, oppure tendono a confondersi con i segni della presenza umana (torri, ponti rotti e fortificazioni); oppure negli orizzonti dove si addensano nuvole grigie, pesanti e cumuliformi, messaggere di tempesta.
L’opera, prudentemente attribuita ad un seguace di Salvator Rosa, reca al margine inferiore inciso un monogramma “SR” riscontrabile tra quelli utilizzati dal maestro napoletano nel catalogo delle sue firme.