con cornice cm 113,5x84,5x3,5;
firmato in basso a sinistra
Esposizioni:“Francesco Menzio” (Saluzzo, Galleria d’arte L’Archivolto, 1972)
Pubblicazioni:Francesco Menzio, catalogo della mostra, Saluzzo, Galleria d’arte L’Archivolto, 1972
Provenienza: Saluzzo, Galleria d’arte L’Archivolto;
Torino, collezione privata
Nato a Tempio Pausania, in Sardegna, Menzio si trasferisce nel 1912 a Torino dove frequenta l’Accademia Albertina da cui viene presto espulso, continuando un percorso autodidatta che lo porta a guardare con estrema attenzione, pur senza diventarne mai allievo, alla lezione di Felice Casorati.
Il precoce esordio espositivo risale al 1921 con la mostra dei “dissidenti” dalla Promotrice delle Belle Arti allestita alla Mole Antonelliana.
Nel 1924 è fra i Venti artisti italiani esposti presso la Galleria Pesaro di Milano, mostra che vede incrociarsi alcuni fra i successivi protagonisti di Novecento e del Gruppo dei Sei di Torino. Invitato da Margherita Sarfatti ad esporre alla prima mostra del Novecento Italiano nel 1926, si aggrega al gruppo partecipando nel 1927 alle collettive dei novecentisti a Zurigo e Ginevra.
Fra il 1927 e il 1930 soggiorna frequentemente a Parigi dove avrà modo di conoscere direttamente l’opera degli impressionisti e dei pos-timpressionisti, in particolare dei fauves e di Cézanne, la cui lezione lo conduce verso formule espressive più fluide e libere, lontane dal classicismo e dal robusto plasticismo della prima lezione di Casorati.
Il 1929 è l’anno della costituzione del Gruppo dei Sei (Boswell, Chessa, Galante, Levi, Menzio, Paulucci), promosso dal critico Edoardo Persico. La breve esperienza (1929-31) dei Sei di Torino si colloca nel quadro delle varie reazioni al gruppo di Novecento Italiano e ai suoi mandati classicisti ed arcaicizzanti, in molti casi declinati in base alle esigenze autocelebrative della retorica di regime.
In opposizione a questi principi i sei giovanissimi di Torino si rivolgono ad un’arte di respiro internazionale con un occhio di riguardo per la tradizione francese e per i modelli impressionisti, portati come esempi di libertà della sensazione visiva contro la fissità classicheggiante di Novecento.
Gli anni Trenta e Quaranta, che segnano la piena maturità espressiva e creativa del pittore, vedono Menzio risolvere il proprio personale fare artistico in modo solitario ed autonomo e, sordo alle lusinghe del potere, egli rifiuterà sempre ogni invito ad aderire al fascismo, caratterizzandosi come pittore senza compromessi.
Nel 1942 Menzio è sfollato da Torino e si rifugia a Bossolasco, terra di Langhe, con la moglie Ottavia ed i figli. Lo stesso anno lo vede vincitore, davanti al Guttuso della celebre Crocefissione, del IV Premio Bergamo, dove, con il dipinto La famiglia in campagna, scena dai toni intimi e colloquiali, si colloca in una via certamente opposta alle celebrazioni di regime ma insieme alternativa alle più drastiche ed espressionistiche deformazioni compositive e cromatiche proposte da Guttuso. L’arte di Menzio segna così un decisivo contributo al rinnovamento della figurazione italiana, una figurazione non certo avanguardistica ed ideologica ma rivolta e tesa alla ricostruzione di una visione intimistica e lirica del dato quotidiano.
Nel dopoguerra Menzio è una presenza frequente ai più importanti eventi artistici nazionali e la sua partecipazione alle Biennali veneziane è costante fino al 1958. Dal 1951 è titolare della Cattedra di Pittura dell’Accademia torinese e negli anni Cinquanta lavora come affreschista accanto a Casorati per la decorazione delle Storie di Santa Caterina (San Domenico, Cagliari) e per l’Aula Magna dell’Università di Genova.
La poetica di Menzio si risolve in pochi temi costantemente frequentati: ritratti e nature morte composte da pochi selezionati oggetti della quotidianità: vasi, cesti di frutta, foglie e fiori secchi, busti in gesso, spesso accompagnati dalla presenza di uno specchio.
Ancora caratteristici di Menzio sono i paesaggi e fra tutti risaltano le vedute del Po e delle colline piemontesi, visioni spesso costruite come scorci presi da una finestra, a segno che quei luoghi non sono che propaggine estrema, continuazione esteriore del mondo interiore del pittore, del suo spazio fisico, lo studio, che conclude e custodisce quello ancora più segreto ed intimo dell’anima.
Buono stato di conservazione
Per ulteriori informazioni non esistate a contattarci